Un viaggio all’indietro fino al 753 a.C, per raccontare il mito di fondazione di Roma, ma solo con luce naturale. E’ l’ultima opera di Matteo Rovere (Veloce come il vento), con “Il primo re”, uscito in sala il 31 gennaio in 300 copie con 01. Un progetto da nove milioni di euro, girato interamente in esterni, sui Monti Simbruini, i Monti Lucretili, il Monte Cavo e il Monte Ceraso nel parco di Veio, che ha richiesto anche una unga postproduzione (14 mesi). Per i protagonisti Rovere, coautore anche di soggetto e sceneggiatura con Filippo Gravino e Francesca Manieri, si è affidato ad Alessandro Borghi per Remo e Alessio Lapice per Romolo. “Volevamo calare lo spettatore nel Lazio del VII secolo avanti Cristo, nel modo più realistico possibile — ha spiegato il regista -. vogliamo dimostrare che l’industria italiana è in grado di realizzare opere all’altezza degli standard internazionali”. Traendo elementi fra gli altri, da Livio, Plutarco, Ovidio, e ricorrendo alla consulenza di archeologi e antropologi, Rovere proietta gli spettatori sulle sponde del Tevere del VII secolo a.C, dove Romolo e Remo, dopo essere sopravvissuti all’esondazione del fiume, vengono catturati dei guerrieri di Alba Longa. Per affrontare l’impegno fisico richiesto dalle riprese di il primo re “mangiavamo in mezzo al bosco senza lavarci per giorni: il primo albergo che ci ha ospitato ci ha chiesto il rimborso per le lenzuola. Ci ho messo un bel po’ a tornare alla civiltà”. Le location, “tutte nel Lazio, fra paludi, greti di fiumi, montagne rocciose, foreste e boschi mediterranei, spiagge, saline, zone termali e sulfuree, sono state, appunto, il Parco regionale dei Monti Simbruini (cascate e laghetti), il Parco dei monti Lucretili, il monte Cavo (con la sua via sacra che già nell’VIII secolo a.C. veniva usata per raggiungere il tempio di Giove), il monte Ceraso, il parco di Vejo, l’Aniene e tutta la riserva annessa, la Riserva di Decima Malafede e del Circeo, la Riserva di Tor Caldara, vicino Anzio”.