La “Cosca Nostra” tiburtina dava botte da orbi e sfregiava il volto di chi sgarrava. Ma minacciava anche i carabinieri che indagavano sulla banda di narcotrafficanti di Tivoli e Guidonia sgominata all’alba dell’8 marzo con 39 arresti. Tra questi, il boss della banda Giacomo Cascalisci e i suoi collaboratori stretti Cristian D’Andrea e Massimo Piccioni, che controllavano le zone dello spaccio. Arrestate anche 7 donne che avevano un ruolo attivo all’interno dell’organizzazione criminale alla quale è stata applicata l’aggravante del metodo mafioso. Risulta indagato anche l’avvocato Francesco Tagliaferri, ex presidente e attuale consigliere della Camera penale di Roma, iscritto nel registro degli indagati per favoreggiamento personale continuato. Secondo quanto scrive il gip, Maria Paola Tomaselli, “la tutela legale dei soggetti interni al sodalizio è affidata da Cascalisci in via pressoché esclusiva all’avvocato Francesco Tagliaferri”. Nel provvedimento si legge anche che “è emerso che Giacomo Cascalisci, capo indiscusso del sodalizio, si serviva dell’avvocato Francesco Tagliaferri per acquisire informazioni in merito all’arresto dei sodali, al chiaro fine di conoscere le contestazioni, gli elementi di prova, le eventuali dichiarazioni rese in sede di interrogatorio e il contenuto dei colloqui”. I carabinieri hanno ricostruito il traffico e lo spaccio dello stupefacente nella zona di Tivoli fin dal 2012. I fatti relativi all’operazione però si riferiscono in particolare all’attività criminale fra il 2015 e il 2017. Ne emerge un quadro inquietante con una banda ramificata soprattutto nelle zone di Villa Adriana e Villanova di Guidonia, che agiva sul territorio con decine di affiliati. A 7 donne spettavano compiti di primo piano. Il rifornimento dello stupefacente avveniva soprattutto a San Basilio, più volte al mese, poi c’era lo spaccio al dettaglio con l’aiuto di vedette arruolate fra i ventenni della zona, spesso in strutture familiari. Le minacce di morte, intercettate dai carabinieri, riguardano invece due ufficiali dell’Arma e anche un ispettore di polizia. Per il procuratore aggiunto della Dda Michele Prestipino “l’indagine condotta dai carabinieri fra Tivoli e Guidonia ha rivelato quanto quel territorio non sia solo difficile ma anche ostile al di là di ogni previsione. La banda gestiva due piazze di spaccio e anche durante le perquisizioni domiciliari odierne sono stati effettuati arresti per detenzione in flagrante di stupefacenti. Un’organizzazione piuttosto agguerrita che pedinava anche gli appartenenti alle forze dell’ordine. E questo senza informatori, come finora è stato accertato. Il che è ancora più grave perché significa che aveva il controllo del territorio”. Tant’è che ci sono voluti circa 300 militari del Comando Provinciale di Roma, coadiuvati dal Nucleo Elicotteri Carabinieri, dalle unità cinofile e da militari dell’8 reggimento Lazio, per eseguire le 39 ordinanze di custodia cautelare e i 46 decreti di perquisizione domiciliare nei confronti degli indagati, accusati a vario titolo dei reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, armi ed estorsioni, aggravati dal metodo mafioso. “L’associazione ricostruita attraverso le attività investigative ha fortemente condizionato le cittadine di Tivoli e Guidonia avvalendosi del c.d. metodo mafioso per controllare il territorio, predisponendo vedette e servizi di pedinamento in danno di appartenenti alle Forze dell’Ordine, così da tentare di guadagnare l’impunità per la commissione di più fatti/reato come estorsioni, incendi alle autovetture, minacce, pestaggi, sfregi al volto, utili a garantire l’egemonia che consentiva loro di dedicarsi appieno al core business della consorteria: il traffico e lo spaccio di stupefacenti. Le investigazioni, invero, hanno evidenziato la predisposizione di veri e propri processi sommari, ove coloro che non si allineavano a voleri del “capo”, venivano a lui condotti dagli altri membri del sodalizio, sottoposti innanzi ai vertici del gruppo ad un vero e proprio contraddittorio ed in caso di “condanna”, puniti con pestaggi o sfregi al volto: l’associazione, ancorché autoctona, assumeva i tratti tipici di una cosca. Ed invero è lo stesso leader, identificato nel noto pluripregiudicato Tiburtino Cascalisci Giacomo, che auto-rappresentava la sua organizzazione come corroborata da “determinati ideali e valori” criminali. Accanto al Cascalisci, emergono i suoi colonnelli: i pregiudicati D’Andrea Cristian e Piccioni Massimo, che si occupavano dell’operatività delle piazze di spaccio, dirigendo le vedette e i pusher. Alla base della piramide, infine, vi sono i ragazzi, una pletora organizzata ed irreggimentata di giovanissimi autoctoni con specifici incarichi: lo spaccio, il controllo del territorio, la commissione di spedizioni punitive per chi sfida il sodalizio”.