Cioffredi: “La Prefettura faccia rimuovere la gigantografia del boss da Tor Bella Monaca”

“La complessità dello scenario criminale romano implica che accanto a quelle componenti che si manifestano come vere e proprie proiezioni delle organizzazioni più tradizionali, ‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra, coesistono e interagiscono altre componenti, strutturate secondo moduli complessi tali da poter essere qualificate a tutti gli effetti sodalizi a carattere autonomo”, spiega il Rapporto“Mafie nel Lazio”. Secondo il quale “se c’è un luogo da cui fermarsi a guardare lo scenario criminale romano quello è certamente Ostia. Quindicimila chilometri per ottantatremila abitanti, oltre settanta stabilimenti balneari e quintali di cemento che chiudono alla vista il mare di Roma”. Dove esercitano il loro potere “i clan Fasciani, Spada e Casamonica”. Ma c’è anche “il clan Pagnozzi operativo nel Rione Monti, al Pigneto, al Quarticiolo-Centocelle, alla Tuscolana e al Quadraro”, oltre alla camorra dei Senese.

TOR BELLA MONACA – Il presidente dell’Osservatorio della Regione, Giampiero Cioffredi, ha chiesto al prefetto di Roma, Paola Basilone, di “convocare una riunione per far rimuovere le gigantografie di un boss, Serafino Cordaro, ucciso nel 2013 da un clan rivale, che campeggiano da 5 anni su un palazzo comunale in Via della Quaglia 2. Sarebbe un gesto importante”. Anche perché, racconta il Rapporto, “tutti gli affiliati alla banda dei Cordaro hanno tatuato sul corpo l’immagine di Serafino Cordaro. Il fatto che questo murales sia ancora lì – dentro la capitale d’Italia – e nessuno si sia sentito in dovere di rimuoverlo rappresenta per questo gruppo motivo di grandissimo prestigio criminale”.La gigantografia del boss ucciso campeggia sul muro all’R9 di Tor Bella Monacain un immobile di proprietà del comune di Roma come gran parte dei complessi di edilizia popolari situati nella borgata di Roma est, tutti marchiati dalla sigla “R”. Il 2 febbraio 2013, quando Serafino Cordaro venne crivellato di colpi nella vicina via Acquaroni, le cronache lo descrivevano semplicemente come “il barista di Torre Gaia”, ammazzato per una lite tra famiglie scatenata da futili motivi. Soltanto nel luglio 2016, in seguito al maxi-blitz condotto proprio all’R9 dalla polizia e ordinato dalla dda di Roma, è venuto a galla quello che gli investigatori già sapevano da tempo, ovvero che il clan Cordaro controlla da anni la piazza di spaccio di Tor Bella Monaca godendo di “un forte consenso sociale fra la popolazione” e di “un forte rispetto del quartiere”.

LA MALA-BORGHESIA – Ma, oltre la mafia importata e i clan autoctoni, “si aggiungono alcuni pezzi della borghesia romana che hanno iniziato ad utilizzare il metodo mafioso, ne hanno compreso i vantaggi e le potenzialità date dalle reti di relazioni sul territorio”. Un fiume carsico che “si muove sotto la superficie, nella pancia della città, in svariati livelli comunicanti che collegano, talvolta in maniera stabile, altre in maniera transitoria, commercianti, imprenditori, pusher, commercialisti, notai, funzionari di banca, broker del narcotraffico internazionale, boss della mala, picchiatori di professione, usurati e usurai, esperti del recupero credito con metodi violenti, boss di ‘ndrangheta e di camorra stabilizzati a Roma”. Dove, conclude il Rapporto, “le mafie sono tutte libere e tutte legate”. Perché sono complessivamente 93 le cupole attive che tramano all’ombra del Cupolone. Ma la “cosca nostra” laziale di clan ne conta complessivamente 154 che, con i loro tentacoli, stanno progressivamente divorando i confini regionali, facendoli precipitare nel resto di quel “Mezzogiorno di fuoco” dominato dalle organizzazioni criminali.